Il Palazzo baronale costituisce il principale monumento architettonico della città ed è l’unico dei tre più antichi di cui si trovi menzione a essere pervenuto fino ai giorni nostri (gli altri due sono il Monastero di Santa Maria delle Grazie e la primitiva chiesa di San Giovanni Evangelista).
Un documento storico del 1642 ci svela la conformazione architettonica precedente alla ristrutturazione voluta dai conti Carafa.
Si tratta di un “Apprezzo” dell’epoca, una stima che veniva fatta di un bene immobile per definirne il valore pecuniario. La descrizione risulta verosimilmente dettagliata e precisa, rivelando, a chi legge il contenuto per la prima volta, particolari sorprendenti. Riportiamo qui, per brevità, solo alcuni stralci. Vi si legge testualmente:
"Il palazzo ha una torre al lato ed in esso si entra attraverso un ponte levatoio e una grande entrata pipernata (di piperno, roccia vulcanica) in un cortile coperto (androne). A sinistra si entra in due camere grandi……….. A destra sono due altri bassi piccoli ed il secondo ha l‘uscita allo scalone del palazzo nel primo ballatoio."
Dallo scalone principale si sale ad una loggia con balaustre di marmo. La loggia è sostenuta da grandi pilastri quadrati ed arricchita con colonne in muratura sormontate da capitelli in piperno di forma tronco-piramidale. Dalle balaustre si entra in una sala grande con focolare e ripostiglio e in detta sala vi è il balcone che affaccia sopra il portale del palazzo. Interessante è il pianerottolo coperto da una volta a crociera sottolineata da costoloni.
A man destra della sala grande vi sono altre sei camere grandi (due in linea e quattro che risvoltano ad angolo retto seguendo il perimetro del cortile), ciascuna con il suo focolare e tutte le porte e le finestre di dette camere sono guarnite di pietra di Sorrento e con legname di castagno. L’ultima di esse ha l’uscita sopra il lastrico (il terrazzo sul lato opposto all’ingresso). Dalla seconda delle dette camere (cioè, l’ultima su via Garibaldi) si entra in una torre quadrata. Questa torre ha due camere al piano inferiore, ove si entra per il ponte levatoio; due al primo piano e altre due al piano superiore. In cima vi è la palombara. Tutt‘intorno la detta torre ha diverse guardaporte e saettere (garitte e fenditure atte alla difesa) per la guardia della torre. ………….
Dopo aver esplorato il Palazzo-castello, ripercorrendo immaginariamente, grazie alla descrizione fornita dalla nostra guida (l’Apprezzo del 1642), gli ambienti, i percorsi interni ed esterni e gli spazi aperti, è giunto il momento di conoscere da vicino lo straordinario personaggio che, proprio in quegli anni, viveva all'interno di quelle mura.
Credo che pochi Teverolesi sappiano che il suo nome compare in tutti i libri che trattano la storia di quel periodo e che, quasi sempre, viene menzionato anche il luogo dove dimorava. Di lì a pochi anni, infatti, vicende storiche di rilevanza nazionale si intrecceranno in maniera eclatante con quelle del nostro piccolo borgo.
Proiettandoci, infatti, nel 1647, possiamo osservare un evento insolito per Teverola.
In una calda giornata di luglio, la consueta atmosfera assonnata della deserta Area’o palazz’ fu improvvisamente interrotta dal tintinnio di sonagli e dal frenetico rumore degli zoccoli di cavalli in corsa. I rustici abitanti del luogo, sporgendo la testa fuori dagli androni, dove godevano di una fresca ventilazione mentre erano intenti a qualche lavoro agricolo domestico, videro sopraggiungere una carrozza scortata da alcuni soldati. All’interno viaggiavano messaggeri provenienti da Napoli, giunti per persuadere il nostro uomo ad accettare una nomina di grande rilevanza politica. Questo avvenimento era la diretta conseguenza delle concitate discussioni, consultazioni e scelte politiche avvenute qualche ora prima in città:
“habbiamo lo primo huomo al mondo, però non so se viene, il quale è nato nel mercato, chiamato capitan Francesco Antonio Arpaia, al presente governatore di Teverola in Aversa, il quale per servizio del popolo è stato con me carcerato.
Seguendo il rituale, Masaniello corse al tavolato, la gente si raggruppò e lui espose l’argomento: “Populo mio, mi dicono che vi è Francescantonio Arpaia Capitano, uomo di spada, nato al Mercato, uomo tanto buono, il quale è stato tanto tempo carcerato in Spagna per servizio de lo populo, processato dalli Cavalieri nello tiempo de lo Duca d’Ossuna. Che vi pare? Vogliamo mandarlo a chiamare, che sta a Teverola? E facciamo esso Eletto del populo?” “Signore sì!” “Questo è buono!” “Questo è buono, che è poco amico de’ cavalieri ed è de lo Mercato”” (Archivio storico per le province napoletane – volumi 41-42, pag. 324).
Siamo nel pieno della Rivoluzione di Masaniello e Giulio Genoino, la più influente guida intellettuale tra i rivoluzionari, propone il nome di Arpaia per la nomina a Eletto del popolo.
l'Eletto del Popolo era il Rappresentante dei 29 antichi quartieri di Napoli nella struttura di governo municipale, composta da sei membri, di cui cinque nobili, eletti ciascuno in un sedile della città. Ogni quartiere, chiamato Ottina, era guidato da un Capitano incaricato di mediare tra il governo vicereale spagnolo e le istituzioni locali.
I 29 Capitani votavano tra loro per selezionare sei nomi, tra i quali il Viceré sceglieva poi l’Eletto a lui più gradito. Tuttavia, come abbiamo visto, l’elezione di Arpaia non seguì questa prassi: per volontà di Masaniello, avvenne per acclamazione.
A questo punto cerchiamo di comprendere chi fosse veramente Francesco Antonio Arpaia, come si fosse arrivati alla sua nomina a Eletto del Popolo e perché si trovasse a ricoprire un ruolo di potere nella nostra Teverola.
Secondo lo storico Gaspare De Caro, fu "schermitore di professione, tra i più noti del suo tempo a Napoli, e forse anche uomo di legge". Bartolomeo Capasso lo definisce “uomo di legge e valente schermitore”. Francesco Capocelatro, storico suo contemporaneo, lo descrive come “uomo pronto di mano ma di vivace ingegno e di onorevole presenza”.
Nato nel 1587 nella popolare piazza Mercato di Napoli, dove il padre gestiva una bottega artigiana, nel 1620 Francesco Antonio Arpaia venne nominato Capitano di quel quartiere dal viceré Ossuna. In questa veste, si distinse per aver guidato un tumulto popolare contro la nobiltà, che gli costò una condanna a dieci anni di galera sulle navi spagnole.
Nel contesto della Rivoluzione e nell’urgenza delle nomine, Genoino presentò Arpaia come una persona degna di fiducia, che si era distinta per le sue capacità di comando durante la sommossa del 1620 e che, essendo figlio del popolo, incarnava al meglio le istanze popolari. Queste caratteristiche rendevano Arpaia il candidato ideale per ricoprire la carica di "Eletto del Popolo".
Masaniello, riconoscendo le qualità di Arpaia, non esitò a conferirgli "a voce pubblica" il mandato per la carica di "Eletto del Popolo", una decisione che fu approvata sia dal viceré che dalle assemblee delle Ottine.
Cerchiamo ora di chiarire perché l’Arpaia si trovasse a Teverola nel ruolo di governatore. A tal proposito, esistono due versioni discordanti tra gli storici. La prima fa riferimento al vescovo di Aversa, Carlo Carafa:
Aurelio Musi: “Nel 1647 è a Teverola commissario di Carlo Carafa, vescovo di Aversa, poi cardinale”;
Giuseppe Mrozek Eliszezynski: “Alla vigilia della rivolta era a Teverola, nei panni di commissario del vescovo d’Aversa e futuro cardinale Carlo Carafa. Dai primi di luglio fu uno dei capi riconosciuti della rivolta.”;
Rosario Villari: “ed era diventato amministratore del feudo di Teverola, appartenente al vescovo di Aversa Carlo Carafa”.
La seconda versione riconduce ad un ricco mercante:
Francesco Capocelatro: “fatto venire a posta dal casale di Teverola presso Aversa, dove dimorava per capitano e fattore del luogo in vece di Andrea di Terza, di Lauro, ricco ed onorevole mercatante”
Gaspare De Caro: "fu assunto al servizio di un mercante di Aversa, tale Andrea di Terza di Lauro, che gli affidò l'incarico di vicebarone della terra di Teverola”.
Ci si chiede chi fosse questo mercante Andrea di Terza di Lauro e come potesse affidare l’incarico di vicebarone non essendo egli stesso un barone. Ci chiarisce tutto Innocenzo Fuidoro (1618-1692):
“il quale Terradilavore………….. era stato huomo ordinario, portando addosso un tempo le cassette di tela et biancherie vendendo per Napoli; poi con qualche poca commodità vendé oglio alla grossa, con la quale mercantia arricchitosi si fé barone comprandosi il casale di Teverola vicino alla città di Aversa”
Insomma, Terza di Lauro è probabilmente un’alterazione di Terradilavore, dovuta a una trascrizione errata da una fonte poco leggibile. Il quadro diventa ancora più chiaro se consideriamo quanto scrive Leopoldo Santagata:
“Nel 1645, ad istanza dei creditori della famiglia dé Franchi, (Teverola n.d.r.) fu messa in vendita “sub hasta” e fu acquistata per 70600 ducati dal signore Andrea Terralavoro.” Aggiungiamo che questa famiglia conservò il feudo per ben 140 anni fino al 1785, “quando, per la morte senza legittimi successori di Felice Terralavoro, fu devoluta alla Regia Corte. Di lì a poco tempo ……… passò alla famiglia Carafa dei Conti di Policastro, il cui palazzo esiste tuttora in Teverola alla via Garibaldi n.65.”
Ritornando alle vicende storiche è importante precisare che la rilevanza politica di Arpaia non venne meno con l’assassinio di Masaniello, ma continuò anche dopo. In qualità di Eletto del Popolo, egli entrò a far parte del triunvirato che si insediò successivamente, insieme al nobile Francesco Toraldo e all’avvocato Vincenzo D’Andrea, rappresentante della borghesia.
E per concludere, al fine di offrire un quadro quanto più esaustivo possibile sul personaggio in questione, ospite illustre del palazzo baronale di Teverola, riportiamo quanto scrive Silvana D’Alessio:
“racconta il reverendo Giuseppe Pollio, testimone della rivolta: visto che Masaniello non era più in condizioni di governare (Pollio parla proprio di un male fisico: dolori allo stomaco e stordimento), il popolo decise di togliere il comando a Masaniello e di darlo ad Arpaia.”
“Va poi presa in considerazione la testimonianza del duca di Guisa, secondo cui riuscì a far arrivare all’Arpaia, diventato «padrone assoluto» di Napoli (presumibilmente subito dopo la morte di Masaniello), la notizia che la Francia fosse concretamente disponibile ad aiutare il regno a liberarsi della Spagna.”
Infine, va detto che Arpaia, all’interno dello schieramento intellettuale della rivolta, fu probabilmente uno dei primi a mostrare simpatia per la formula repubblicana.
Fu poi il nuovo capopopolo, Gennaro Annese, sostenuto dalla Francia, a proclamare la "Real Repubblica Napoletana" nell'ottobre del 1647. Tuttavia, questa fase ebbe vita breve: nell'aprile del 1648 l'armata di don Giovanni d'Austria mise fine alla Repubblica, ripristinando il potere spagnolo a Napoli.
Ritornando ora alle caratteristiche architettoniche del palazzo baronale, riprendiamo alcune considerazioni espresse qualche anno fa in merito al patrimonio artistico teverolese:
Il palazzo baronale nella sua odierna configurazione architettonica presenta notevoli motivi di interesse:
a) L’androne (Foto 1), caratterizzato dalla cornice di blocchi di piperno sagomati, e il sovrastante vano porta timpanato con il balcone aggettante, formano un insieme compositivo dalle proporzioni armoniche ed equilibrate. L'intera facciata (Foto 2) presenta un aspetto proporzionato e solenne, che esprime sia grazia che forza. Il primo ordine è maggiormente improntato a criteri di solidità e robustezza, come dimostrano non solo la cornice del portale in piperno, ma anche quelle che, realizzate con lo stesso materiale, adornano tutte le finestre. Il primo livello del palazzo ha probabilmente mantenuto l'aspetto dell'antico palazzo-fortezza, dotato di ponte levatoio e di una alta e imponente torre situata nel margine sinistro. Il profilo di questa torre, per quanto riguarda la parte restante, è ancora visibile oggi sulla facciata, caratterizzato dalla sua peculiare conformazione a scarpa.
Foto 1
Foto 2
b) Il secondo livello del palazzo è caratterizzato da un maggiore senso di armonia ed eleganza. Nonostante alcune alterazioni non giustificate, l'insieme architettonico appare complessivamente omogeneo e armonico.
È opportuno sottolineare, in riferimento alla Foto 2, che, come emerge da una planimetria dei primi dell’Ottocento (Foto 3), nelle immediate vicinanze del Palazzo non vi erano edifici sul lato destro di via Cavour, per cui l’intera facciata risultava quasi completamente visibile.
Foto 3
Va anche sottolineato che, sulla sinistra, come si vede nella planimetria, in posizione leggermente arretrata, sorgeva l'antica basilica, situata all'angolo tra le due strade, in modo che la sua facciata fosse visibile da entrambe. La nuova chiesa, invece, è stata edificata a ridosso della parete di fondo della precedente, in posizione ortogonale rispetto a essa e con la facciata rivolta verso via Garibaldi.
In effetti, se qualche secolo fa ci fossimo trovati nella stessa posizione da cui è stata scattata la foto 2, invece di una facciata deturpata da alterazioni e incastonata tra due dissonanti costruzioni moderne, avremmo visto un edificio armonico e proporzionato, libero da ingombri visivi sulla destra e, affiancato, a sinistra, dalla sagoma dell’edificio di culto. La particolare disposizione planimetrica delle due strutture architettoniche doveva creare uno scorcio prospettico estremamente suggestivo, arricchito in altezza dalla presenza della torre da un lato e del campanile dall'altro.
Anche all’interno si colgono scorci prospettici estremamente interessanti:
a) lo scalone con pianerottolo coperto da volta a crociera costolonata; (Foto 4)
Foto 4
b) la loggia con colonne sormontate da capitelli in piperno a forma tronco-piramidale; (Foto 5)
Foto 5
b) la facciata interna con un caratteristico ed elegantissimo fregio costituito da archetti pensili che sottolineano e impreziosiscono l'estremità superiore. (Foto 6)
Foto 6
L'amico Paolo Di Grazia, con il suo contributo, non solo ci ha regalato una straordinaria sequenza di fotografie, ma ha anche portato l'attenzione su un elemento ancora visibile di particolare fascino, capace di evocare pagine di storia:
“Quante volte siete passati senza fare caso a questa costruzione, è il prolungamento verso nord del palazzo Carafa. Sembra non aver alcun interesse storico, eppure ha tutte le caratteristiche della torre citata nel post di Giovanni Morra, la sua posizione, la base quadrata a piramide monca, i vani al piano terra e a quelli superiori. Ma la testimonianza più interessante, a mio avviso, è la presenza di una feritoia, che serviva per la difesa da eventuali assalti.” (Foto 7 e 8)
Foto 7 Foto 8
Col suo occhio attento, poi, Di Grazia ha sottolineato, a ragione, anche lo straordinario fascino della scalinata esterna: (Foto 9)
Foto 9
“Di particolare bellezza è la lunga scalinata fatta con mattoni di terracotta che dal cortile porta sul terrazzo dei locali un tempo adibiti a depositi”.
Scorrendo le immagini dell’accattivante reportage fotografico di Paolo Di Grazia, si prova da un lato un senso di orgoglio nel percepire l'antica grandiosità del palazzo baronale della nostra città, non del tutto offuscata dal tempo, ma dall'altro si rimane sconfortati di fronte allo stato di abbandono e degrado in cui versa. Si comprende anche che esistono molti percorsi ancora da esplorare, e non solo in senso metaforico, considerando i passaggi sotterranei di cui si hanno notizie e testimonianze.
Sarebbe opportuno ricercare e catalogare tutte le fonti storiche, le informazioni e gli studi relativi al paese in generale e al palazzo baronale in particolare. Quest'ultimo ha subito diverse trasformazioni nel corso dei secoli ed è stato al centro di svariate vicende storiche. Probabilmente, c'è ancora molto da scoprire.
È particolarmente interessante ciò che scrive la professoressa Danila Jacazzi dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, poiché apre nuovi scenari temporali: “Chiamati come mercenari, i Normanni si insediarono stabilmente nell’area campana a partire dall’XI secolo unificando tutto il territorio liburiano. Il nuovo sistema territoriale, dominato dalla città di Aversa, modificò il preesistente schema stradale romano, sostituito da una nuova rete viaria basata sui presidi castellari, torri e strutture di difesa e controllo dislocati a rete in punti strategici del territorio, come la torre di Teverola, il castello di Casaluce e il castello normanno di Aversa”.
La chiara affermazione della professoressa Jacazzi lascia pensare che sia in possesso di fonti documentali o, almeno, di indizi sufficienti per poter formulare ipotesi realistiche sull'esistenza di strutture architettoniche normanne a Teverola, analoghe a quelle conosciute a Casaluce e Aversa.
Sarebbe opportuno che in ambito universitario venissero condotti studi specifici per ricostruire l'antica struttura con torre e ponte levatoio, analizzando anche le successive trasformazioni. Si potrebbero creare modelli figurativi e virtuali, da esporre alla cittadinanza in un ipotetico museo cittadino, che rappresentino l'intera area del palazzo, includendo anche l'antica basilica scomparsa che si affacciava su quello stesso spazio.
Sarebbe necessario avviare parallelamente una ricerca storica approfondita negli archivi bibliotecari della Campania. Invito i giovani teverolesi impegnati negli studi universitari a fare del Palazzo l'oggetto delle loro tesi. Al contempo, gli amministratori locali dovrebbero incoraggiare e sostenere questo tipo di ricerche mediante premi e borse di studio.
A questo punto, vorrei proporre un’idea che mi sembra la naturale conclusione di questo lavoro: perché non utilizzare gli spazi del Palazzo come un palcoscenico naturale per far rivivere la pagina di storia della Rivolta di Masaniello, in cui Francesco Antonio Arpaia emerga come protagonista?
Si potrebbe redigere una stesura drammatizzata delle vicende storiche e rappresentarla scenicamente, magari in occasione dei festeggiamenti patronali. Figuranti in abiti seicenteschi potrebbero attirare l'attenzione verso il Palazzo, presentandosi come personaggi storici del luogo e inscenando dialoghi e rappresentazioni nei momenti prestabiliti.
La vicenda storica che collega il Palazzo alla Rivolta di Masaniello potrebbe anche diventare materia di studio per la scuola, offrendo spunti per diverse strategie educative e attività di apprendimento.
Giovanni Morra
P.S.
Al termine di questo lavoro, mi sembra poi doveroso riportare il contributo informativo di Nicola Messina, nipote del defunto parroco di Teverola don Antonino Messina.
“Donato dal Parroco "Antonino Messina" nel 1954 alla Curia Vescovile di Aversa perché dopo la sua morte 1953 il palazzo doveva essere adibito per volontà del defunto a Orfanotrofio per L'Educazione e Istruzione per bimbi ambosessi e sul frontespizio del Palazzo doveva essere scritto:
" Opera del Parroco Antonio Messina". Purtroppo questo lascito ad oggi ancora una volta non è andato a buon fine. Come è successo spessissimo...
il nipote del Parroco.”





