Per molti secoli l'assetto socio-economico del nostro territorio non aveva subito particolari trasformazioni, e la cosiddetta civiltà contadina era perdurata fino agli anni sessanta.
Poi, all'improvviso, grazie allo sviluppo della tecnologia, il mondo si è messo a correre velocemente, e nella società si sono avute trasformazioni talmente repentine e radicali che oggi si ha la sensazione che quel passato, che in realtà risulta lontano solo pochi decenni, sia invece distante anni luce da noi.
Un passato in cui la vita della maggior parte delle persone era improntata al duro lavoro e al sacrificio, e non si disponeva di tutti quei comfort che oggi appaiono assolutamente indispensabili.
Ma se per i giovani quel mondo è ormai relegato negli innumerevoli spazi museali della civiltà contadina sparsi nel territorio, per coloro, invece, che sono nati prima degli anni sessanta esso appartiene, seppure marginalmente, al loro vissuto e rimane sempre vivo nella memoria, perché si accompagna al ricordo di nonni, anziani parenti e vicini di casa.
Queste generazioni hanno, infatti, la prerogativa di aver attraversato due epoche con differenti modi di vivere e, per questo, dispongono di una gamma più ampia e completa di riferimenti per esprimersi in merito alle loro peculiarità, sia in riferimento all'ambito lavorativo che a quello riguardante la sfera dei rapporti umani.
Ma voi vi chiederete cosa c'entri la lavorazione della canapa con quanto detto finora. Ebbene c'entra, perché quello che a me interessa, e credo anche a voi, non è tanto una analisi dettagliata dell'argomento in questione, facilmente reperibile da diverse fonti, quanto piuttosto le implicazioni psicologiche ed emotive ad esso associate.
Prima di approfondire questi aspetti, tuttavia, è opportuno considerare brevemente il processo di lavorazione della canapa e i suoi risvolti di natura socio-economica.
“La canapa è una fibra molto resistente che può avere molti utilizzi. Un tempo, infatti, la si impiegava per realizzare cordami. Successivamente diventò centrale nella preparazione per la tela da cui si ricavavano lenzuola e tovaglie per il corredo. La sua lavorazione richiedeva un processo molto lungo, che cominciava a marzo e terminava nel periodo invernale……La lavorazione della canapa è stata a lungo fondamentale per i cittadini ……….. Essi, infatti, riuscivano così a garantirsi un buon reddito.“(Luigi Bove)
Dopo la raccolta (Fig. 1) gli steli venivano distesi per terra per fare essiccare le foglie in modo che si distaccassero con un semplice scuotimento. Quindi, erano legati a fasci (mattole) e immersi in grandi vasche scavate ai lati dei Regi Lagni, profonde da 1 a 2 metri, chiamate anch'esse lagni, (Fig. 2).
Per avere un’idea della realtà di quei luoghi, basti pensare che solo nelle nostre vicinanze c'erano sette vasche appartenenti al comune di Carinaro, undici a quello di Casaluce e altre dodici erano a disposizione degli abitanti di Teverola.
Le mattole venivano ricoperte con grosse pietre per tenerle ferme sott'acqua e fare in modo che si compisse il processo della macerazione che durava da 5 a 8 giorni. Poi una volta tirate fuori, erano messe ad asciugare, disposte in posizione verticale leggermente inclinate, l’una contro l’altra, in modo da formare una specie di capanna detta cuoppolo. (Fig. 3)
Successivamente, nei cortili delle case, avveniva la stigliatura (maciuliatura) (Fig. 4), operazione che serviva a separare la parte legnosa del fusto dalla fibra (tiglio). Era eseguita con la gramola (macennola) Fig. 5), un attrezzo di legno composto da un corpo fisso poggiato a terra e un pesante braccio mobile soprastante, uniti ad una estremità da un perno.
Il braccio, ruotando attorno al perno, veniva ripetutamente sollevato e abbassato con una mano e, nel contempo, con l’altra si facevano scorrere fasci di canapa essiccata tra i due corpi lignei in modo che si frantumassero per effetto dei colpi inferti.
In questo modo i filamenti di canapa si distaccavano dalla parte legnosa, che si riduceva a piccoli frammenti chiamati cannavùccioli, utilizzati, poi, solitamente, per avviare il fuoco nei camini.
Dopo la maciuliatura le mattole venivano spatolate e pettinate per districare i filamenti di canapa intrecciati e liberarli degli ultimi residui legnosi ancora attaccati.
Io, personalmente, non ho mai assistito al lavoro svolto presso i lagni ma ricordo bene quello effettuato con le macennole nel cortile di casa. Esso si caratterizzava per quel susseguirsi di colpi, ritmico e cadenzato, che, come i battiti dell'orologio, scandiva il trascorrere della giornata lavorativa.
Il lavoro dei maciuliatori era duro e faticoso, ma era svolto in allegria e vedeva la compartecipazione dei loro familiari, che portavano da mangiare per la pausa meridiana, e quella dei vicini di casa che si intrattenevano a chiacchierare. Si creava un'atmosfera gioiosa che è difficile da dimenticare e che affiora simultaneamente al ricordo della maciuliatura.
In effetti, all'epoca c’era uno spirito di socialità che permeava quasi tutti i momenti della vita di relazione. Mi viene in mente, tanto per fare un esempio, il procedimento casalingo della conservazione dei pomodori. Un momento di aggregazione straordinario di tutta la famiglia e dei vicini di casa, pronti ad adoperarsi per dare una mano e rendere in qualche modo il lavoro meno gravoso e, addirittura, piacevole.
Queste forme di comportamento erano, secondo me, espressioni tipiche di quella che definirei la civiltà del vicolo dai portoni aperti, quando si passava liberamente da un androne all'altro a intrattenersi con tutti e a condividere problemi e gioie come se si fosse tutti una sola famiglia.
Il culmine di questo spirito comunitario del vicolo si raggiungeva in occasione della festa di Sant'Antuono con l'accensione della lampa e il permanere gioioso intorno ad essa, al profumo delle salsicce arrostite da gustare insieme e al tepore della brace.
Mi fermo qui lasciando a voi il piacere di condividere altri ricordi, sia quelli riguardanti la lavorazione della canapa che altri momenti di vita comunitaria, magari con qualche fotografia. Pongo poi un quesito finale sul quale spero vogliate pronunciarvi: siamo sicuri che oggi si viva meglio?
Grazie per l'attenzione!
Le immagini sono tratte da “Omniamaceratacampania.it”


