Tra i banchi di scuola lo studio dell’arte greca ci portava ad ammirare la maestosa statua di Athena, scolpita in oro e avorio da Fidia. Parallelamente, le lezioni di letteratura ci introducevano alla poesia di Eugenio Montale, con la sua iconica immagine della statua e del falco che si libra alto nel cielo. Per noi studenti teverolesi, questi riferimenti evocavano istintivamente "La Regina", il monumento ai caduti che si erge al centro del nostro paese.
Il tono solenne delle prime strofe accompagna queste reminiscenze letterarie e scolastiche, che servono a far convergere l’attenzione sul monumento.
Il vero fulcro della poesia risiede però nell’umanizzazione della statua, che viene percepita come una figura quasi materna, portatrice di un profondo significato simbolico per la comunità.
La "Regina" non è solo una statua di pietra, ma è vista come una presenza viva che osserva e riflette sulle sorti dei suoi figli, i cittadini di Teverola, accompagnandoli silenziosamente nel loro cammino. Questa personificazione la trasforma in un simbolo tangibile del paese e dei suoi abitanti, rafforzando il concetto di identità e appartenenza.
Il tono malinconico della poesia, soprattutto nelle strofe finali, riflette la perdita di quel senso di comunità e di appartenenza che un tempo era centrale nella vita dei Teverolesi. C'è una nostalgia per un passato più coeso, quando la comunità si riconosceva attorno a simboli condivisi come il monumento.
La Regina
Ti ho vista nella sacrale effigie
della fidiaca Athena dorata
e “nella sonnolenza del meriggio”
con “la nuvola, e il falco alto levato.”
Non ostentavi la regale presenza
e il volto fiero della dea,
né adombravi “la divina Indifferenza”
che al Poeta il "prodigio" svela.
Lo sguardo proteso verso spazi remoti,
rivela un'anima e una mente pensante.
Hai gli occhi intensi che il Buonarroti
diede al David nella sfida al gigante.
Ma cosa guardi da sempre, Regina?
Occhi pensosi di una madre
che segue i figli nel loro destino
ovunque li portino impervie strade.
Campi di guerra o di lavoro,
mete lontane di non ritorno,
ma chi è partito conserva nel cuore
la sagoma tua col suo spazio intorno.
Sei il simbolo di un antico paese,
il legame che tiene coesi
quanti vissero le feste, i riti, la piazza
della or silente “Area del Palazzo”.
